Riflessioni sulla Legge 4/2013 e sulla libertà del professionista
In Italia, è ancora diffusa l’idea che una professione sia valida solo se certificata da un ente, una scuola o un’associazione. Ma la Legge 4 del 2013 racconta un’altra storia: quella di una libertà professionale che nasce prima delle istituzioni, e che trova legittimità nella competenza, nell’esperienza e nell’etica.
Questo articolo vuole essere una riflessione sulla natura spontanea delle nuove professioni, sul ruolo reale di scuole e associazioni, e su come la cultura del “permesso” rischi di soffocare la creatività e la responsabilità del professionista.
Perché le istituzioni, quando servono davvero, non sono genitori che proteggono, ma sorelle che camminano accanto.
Legge 4/2013: la libertà del professionista e il ruolo (non vincolante) di scuole e associazioni
Nel panorama delle professioni italiane, la Legge 4/2013 rappresenta una svolta significativa per tutti coloro che esercitano attività non organizzate in ordini o collegi. Questa normativa riconosce e tutela il diritto del singolo a esercitare una professione basata sulle competenze, senza l’obbligo di iscriversi a un albo o di possedere un “diploma” rilasciato da un ente specifico.
La libertà professionale è un diritto
Secondo l’art. 1 della legge, l’esercizio di queste professioni è libero, fondato su autonomia, competenza e responsabilità. Il professionista può operare in forma individuale o associata, senza vincoli di appartenenza a scuole o associazioni.
Il vero vincolo è il rispetto dell’etica professionale e del cliente, non l’adesione a un’istituzione che certifichi le sue capacità.
Associazioni e scuole: strumenti, non autorità
La legge riconosce la possibilità di costituire o aderire ad associazioni di natura privatistica (art. 2), che svolgono un ruolo importante: offrono supporto, promuovono la formazione continua, stabiliscono codici deontologici e rilasciano attestazioni di qualità. Tuttavia, non hanno valore abilitante né funzione esclusiva.
Analogamente, le scuole private di formazione possono offrire percorsi utili e strutturati, ma non sono autorità certificatrici uniche della validità di un professionista.
La questione culturale: uovo o gallina?
In Italia, diversamente dai Paesi anglosassoni, è invalsa l’idea che solo un percorso certificato da un ente conferisca validità a una professione. Tuttavia, qui si apre la famosa questione: è nato prima l’uovo o la gallina?
Nel caso delle libere professioni, è evidente che nasce prima il professionista: una persona che sviluppa competenze attraverso percorsi formativi personali, esperienze sul campo, studi autonomi o trasversali. Solo in un secondo tempo, per esigenza di confronto, visibilità e sostegno, nascono le associazioni e poi le scuole, spesso come espressione diretta di professionisti già attivi.
Anche i formatori delle scuole, in assenza di percorsi “ufficiali”, sono emersi dal lavoro sul campo. Le loro competenze educative spesso si sono sviluppate in ambiti diversi, come l’insegnamento nella scuola statale o privata, o attraverso esperienze parallele di conduzione di gruppi, laboratori, seminari.
La formalizzazione è successiva alla realtà
Ogni scuola nasce de facto prima ancora che de jure: è l’attività a generare il riconoscimento, non il contrario. Quando una scuola forma con successo altri professionisti, acquisisce progressivamente legittimità sociale. Questo principio vale anche per le associazioni: diventano punti di riferimento perché raccolgono esperienze concrete e non perché stabiliscono vincoli.
Tuttavia, sia le scuole che le associazioni spesso tendono a irrigidire il campo, introducendo criteri sempre più restrittivi. Questo accade per legittima esigenza di autoregolamentazione, ma a volte anche per proteggere la propria esistenza, ergendosi a “guardiani” della professione.
Contro lo spirito della Legge 4/2013
Questa tendenza a mettere paletti – spesso inutilmente vincolanti – contrasta con lo spirito stesso della Legge 4/2013, che promuove invece la spontaneità, la libertà e la pluralità dei percorsi professionali.
La legge, che possiamo considerare una sorta di “legge San Calenda”, valorizza la figura del professionista autodidatta, autoformato, con un percorso originale e coerente. Eppure, molte associazioni – persino quelle non riconosciute – finiscono per assumere un atteggiamento paternalistico o materno, imponendo percorsi e requisiti che non sono richiesti dalla legge.
Perché accade tutto questo?
Forse perché nella cultura italiana è radicata l’idea che la sicurezza passi attraverso un’autorità che convalidi, certifichi, approvi. Tuttavia, in un mondo in continua evoluzione, le nuove professioni nascono spontaneamente, come risposta a bisogni reali, e solo dopo arriva la struttura.
La legge 4/2013 riconosce e legittima proprio questa spontaneità. Sta a noi difenderla, con responsabilità e consapevolezza, evitando che diventi soffocata da logiche difensive o burocratiche.